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Inchalla

  • Writer: Francesca Carbone
    Francesca Carbone
  • Jan 4, 2018
  • 3 min read


"Sono degli esseri viventi?" mi chiede Sidi meravigliato. "Stavo guardando l'acqua e mi son accorto che quando le onde si ritirano, ci sono queste che ritornano nella sabbia", continua.

Siamo sul bagnasciuga sulla Langue de Barbarie, quella striscia di terra che separa l'ultimo tratto del fiume Senegal dall'oceano. Sidi è venuto a Saint-Louis per la festa di fine anno, ospite da un amico che abita all'Hydrobase, un quartiere della Langue.

"Di dove sei?", gli chiedo ancora più meravigliata di lui, dal fatto che non avesse mai visto delle vongole.

Sidi è di Ross Bethio, un villaggio nell'entroterra, a nord est di Saint-Louis. Studia al liceo locale ed è allevatore, sebbene l'attività principale del suo comune sia la risicoltura.

"Sì sono degli esseri viventi e si possono anche mangiare, una volta cotte. Tutte le conchiglie che vedi qui, prima erano degli esseri viventi. E pensa che in alcune ci puoi trovare anche delle perle!"

"Tu sei più senegalese di me".

"Perché?"

"Perché conosci tante cose".


Mentre passeggio nel quartiere di Ngiolofenne, le strade di sabbia e le conchiglie sparse qua e là, mi viene un sorriso pensando a Sidi.

Sto andando dai ragazzi dell'associazione Bonheur d'Enfants d'Afrique, da loro sto imparando tanto. Sono un piccolo gruppo di giovani, dai venti ai trent'anni. Si ritrovano ogni giorno in un cortile, la loro sede: una tettoia, una lavagna, alcune sedie, diverse stuoie e muri decorati con i murales dei vari toubab di passaggio, come me. Lavorano per i talibés del quartiere, che sono tantissimi. Lo fanno perché "i bambini sono l'avvenire" dicono e "si l'enfant sourit, l'avenir s'éclaire".Mi colpisce la passione che ci mettono nell'occuparsi di questi bambini: è un universo tutto maschile, intriso di attenzione per le piccole cose e di gesti di cura. Ogni giovedì preparo con loro la merenda, un pezzo di baguette (il pane comune, merci les français!) con la cioccolata spalmabile, all'occorrenza allungata con dell'olio. Nel frattempo i ragazzi intrattengono i bambini con dei cori, un'alternanza di frasi imparate a memoria. Le ripeto a pappagallo, cercando di memorizzarle e trovo qualcuno che mi spieghi il significato: sono perlopiù frasi di incoraggiamento alla libertà e all'autonomia, nonostante la lontananza da casa e dalle famiglie. Qua e là riconosco un "mama Africa".

Il tempo vola, finisco di preparare i panini che già i bambini sono tutti in fila per ritirarli. Forse sono 50 forse 100, si richiamano a vicenda e in un attimo il cortile è pieno. Con la stessa velocità rimaniamo da soli, io e Pape, Vito, Moustafà, Modou, Hervé, i ragazzi dell'associazione. Ormai si è fatto buio e vorrei tornare a casa per evitare di esser mangiata dalle zanzare, ma decido di fermarmi a chiacchierare un po' con i ragazzi. Scopro che Pape e Vito hanno fatto un corso con Croce Rossa e le mattine girano nelle daara con i loro zaini-kit di primo soccorso a prestare cure d'emergenza ai talibés. Nelle daara le condizioni igieniche sono pessime, mi raccontano, a volte mancano i bagni e l'acqua corrente e i bambini sono costretti a nascondersi nelle case in costruzione per espletare i loro bisogni. Per questo l'associazione costruisce anche les toilettes e installa rubinetti nelle scuole coraniche. Mi piace passare del tempo con loro, sono seduti in cerchio attorno alla luce del cellulare. Uno di loro pubblica un post sulla pagina FB dell'associazione con le foto della giornata e nel frattempo programmano le attività della settimana. Programmano è forse esagerato, si figurano qualcosa, in maniera molto rilassata. La mia mente fa un parallelo con le riunioni della nostra associazione, Ospiti in Arrivo, e senza rendermi conto li sommergo di domande: "ma come fate a sostenervi? Dove prendete i soldi? Ma voi siete tutti volontari, quindi come vi mantenete?".

"E' una bella domanda", risponde Pape. "I soldi arrivano, qualche organizzazione esterna, di toubab".

Pape ride quando chiedo di loro, come facciano a vivere se sono sempre impegnati con l'associazione.

"Noi ce la caviamo, abbiamo tutti un nostro business. Modou fa le felpe in wax, Vito aiuta il fratello nel suo negozietto in città, anche io ho i miei affari. Ce la caviamo così, inchalla".


Ecco cosa ci manca, un bel Inchalla.

 
 
 

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