top of page
Search

“Il y a caffè en Europe?”

  • Writer: Francesca Carbone
    Francesca Carbone
  • Apr 11, 2018
  • 3 min read

Mi chiede questo ragazzetto con uno sguardo furbo e provocatorio allo stesso tempo. Abbiamo appena visto Retour au bercail all’Istituto francese di Saint-Louis. Restare o partire malgrado tutto, vivere per morire o morire per rinascere altrove. Uno spettacolo che promuove l’indipendenza culturale come valore fondamentale per la rinascita del paese, per arginare le partenze dei giovani in cerca dell’avventura in Europa. Questa compagnia di giovani teatranti senegalesi lo dice chiaramente: bisogna ricominciare a consumare senegalese. Il cibo, il modo di vestire, le arti, la danza e la musica, la letteratura. Ripartire da qui.

Il ragazzetto che mi chiede se in Europa abbiamo il caffè viene da Pikine e come lui una ventina di altri di loro presenti alla serata. Modou ha fatto il passaparola tra i bambini del suo quartiere, li ha caricati su un pulmino e li ha portati allo spettacolo. Che bulli quando alla fine della performance mi hanno accerchiata facendomi mille e una domanda sull’Europa! “Ce l’avete il caffè? Ma è vero che mettete i pantaloni corti fino a qui?”

La verità è che di migrazione irregolare se ne parla parecchio, dei rischi del viaggio, della vita in Europa, di come coinvolgere i giovani per restare. Il messaggio su cui è stata costruita anche la campagna Afrique Positive, portata avanti da un gruppo di Dakar, parla dei motivi per cui restare, dell’orgoglio dei giovani senegalesi. Le associazioni che militano per questo sono diverse, in varie zone del Paese. Nel villaggio di Gandiol, per esempio, c’è un gruppo di giovani che ha costruito un centro culturale sperso fra le dune per promuovere consapevolezza tra coloro che vogliono partire. Uno di loro, Mamadou Dia, è testimone di due anni di migrazione fallimentare in Spagna e ora è tornato nel proprio villaggio per raccontare a tutti i rischi del “partire en pirogue”. 3052 è il nome del libro che ha scritto e delle miglia che separano la sua casa dalla Spagna. Quando sono andata a conoscerli, la sorella di Mamadou era impegnata a traslocare tutti i suoi averi da una stanza all’altra della casa di famiglia perché l’oceano sta invadendo il villaggio, distruggendo tutto. L’erosione costiera è uno dei problemi che minacciano i villaggi senegalesi, con importanti conseguenze sulla loro economia, laddove la pesca risulta essere il settore di maggior impiego per la popolazione. Come poter continuare a pescare se il mare distrugge le tue case e le tue strade e ti obbliga a rifugiarti nell’entroterra?

Il tema delle alternative alla migrazione rimane pregnante. Ci si chiede quali siano le prospettive allora per chi decide di restare, cosa in concreto dovrebbe convincere i giovani a non partire. Prospettive lavorative è la risposta scontata. Meno scontati i mezzi per crearne. Almeno meno scontanti per me. Invece, più gente incontro (realtà associative più o meno formalizzate, comitati di quartiere, direttori di festival culturali, gruppi di giovani militanti…) più mi rendo conto che esiste una logica che fa da sfondo ad ogni iniziativa, sogno o programma. I buoni propositi sono tanti, le idee non mancano, c’è una forte intraprendenza che anima sopratutto i giovani africani. Ma spesso dall’idea si fatica a passare all’atto per “mancanza di risorse”, lo si dice chiaramente. La risposta in questi casi risiede in quella che ho deciso di chiamare la “logica del progetto”. Come procurarsi i fondi per avviare un laboratorio creativo per i talibés del quartiere? Aspettiamo che ci pensi qualche progetto. Quali attività si vogliono implementare per arricchire il festival culturale della città? Dipende da cosa dice il progetto. C’è l’opportunità di partecipare gratuitamente ad una formazione sul tema della protezione dell’infanzia: ci vado solo se il progetto ha previsto il rimborso spese per il trasporto.

Logica del progetto: significa agire solo e se un progetto di cooperazione internazionale te lo permette. Significa aderire alla strategia che chi ha scritto il progetto propone. E chi scrive i progetti, tendenzialmente ONG e altre organizzazioni internazionali, a sua volta si allinea alle strategie dettate dai finanziatori. Logica del progetto significa lasciare ancora una volta che siano altri a decidere per te se e come realizzare i tuoi obiettivi. Nuove forme, più celate e più subdole, di colonizzazione. Oppure, forse, ragionare secondo la logica del progetto significa sfruttare tutto ciò che di più interessante il progetto può apportare (quindi risorse economiche) e interpretare il ruolo di beneficiario al fine di trarne il maggiore profitto? Oppure finalmente la storia ha insegnato e allora dai “partner” si prende tutto e anche di più, tanto poi loro passano e se ne vanno e avanti il prossimo? Ovviamente a me piace la seconda ipotesi.


 
 
 

Comments


bottom of page